Nel corso degli ultimi articoli pubblicati, abbiamo approfondito in modo meticoloso e dettagliato la conoscenza del verbo distillare e della distillazione: abbiamo scoperto la sua grande importanza in campo tecnologico, la sua versatilità in ambito linguistico e il suo vasto utilizzo in mitologia e in letteratura. Andiamo ora ad individuare la presenza del "protagonista" del nostro blog nella poesia, facendo riferimento ad un'opera che non ha certo bisogno di presentazioni: la Divina Commedia di Dante Alighieri. E in tale contesto il lemma distillare non occupa una posizione di secondo piano, bensì una di indescrivibile rilievo: Dante ne fa infatti utilizzo nei versi che compongono il canto conclusivo del suo poema, il 33° del Paradiso. Lì dove necessita di parole dal grande impatto emotivo per porre degnamente fine ad un'opera destinata a vivere in eterno come patrimonio di inestimabile valore della cultura dell'uomo, il poeta fiorentino sceglie il "nostro caro" distillare.
Qual è colui che sognando vede,
che dopo'l sogno la passione impressa
rimane, e l'altro a la mente non riede,
cotal son io, ché quasi tutta cessa
mia visione, e ancor mi distilla
nel core il dolce che nacque da essa
(Divina Commedia, Paradiso, Canto XXXIII, vv. 58-63)
Domenico Orsino
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